Cueva de las manos (by Mariano Cecowski, from Wikipedia)
Scrivo perché i miei antenati pelosi sono scesi dagli alberi per incamminarsi verso terre ostili che li costringevano a cibarsi di carne invece che di frutta. Perché hanno vinto l’innata paura del fuoco per domarlo e intenerire con la cottura la carne e i tuberi. Perché masticando di meno sono riusciti non solo a nutrire rapidamente un cervello affamato di calorie, ma anche ad affinare i muscoli della bocca e della lingua per poter creare un linguaggio, dando voce anche ai fisicamente più deboli e accrescendo l’empatia. Perché hanno impugnato sassi e lance facilitando la caccia e la pesca e regalandosi più tempo per fare collane di conchiglie, disegnare sulle pareti, dipingersi di ocra gialla e cantare e ballare intorno al focolare. Io scrivo perché loro hanno scoperto la noia e perché hanno capito che creare un’inutile bellezza con le proprie mani, corpo e voce è uno sfogo unicamente umano che ha del divino, che la natura intorno a noi non è altro che l’opera di un dio che si è saputo esprimere.I write because my hairy ancestors came down from the trees to venture into hostile lands where they had to eat meat instead of fruit. Because they overcame their inborn fear of fire to dominate it and thus tenderize meat and tubers through cooking. Because by chewing less they were able not only to quickly feed their calorie-hungry brains but also refine the muscles around their mouth and tongue to create a language, giving voice to those who were physically weaker and deepening their empathy. Because they took up rocks and spears, making it easier to hunt and fish and giving themselves more time to make necklaces from shells, draw on the walls, paint themselves with yellow ocher and sing and dance around the fire. I write because they discovered boredom and understood that creating unnecessary, beautiful things with one’s own hands, body and voice is a uniquely human outlet that smacks of divinity, and that our natural environment is nothing more than the work of a god who was particularly good at expressing himself.
Scrivo perché, per un destino miracoloso, i miei antenati non si sono estinti durante le varie eruzioni vulcaniche ed ere glaciali e hanno invece cominciato a coltivare il grano abbandonando la vita nomadica e dando campo libero alle carie. Perché hanno addomesticato il cane e le capre, scoperto i metalli e costruito villaggi sempre più squadrati ed estesi dove presero piede l’artigianato e un commercio che teneva i conti incidendo l’argilla con una canna da palude. Scrivo perché è nato dalle canne il papiro e dal carbone l’inchiostro e l’urgenza democratica e multietnica di spiegarsi con persone di madrelingua diversa tramite un alfabeto. Perché ai miei avi è venuta l’intuizione geniale che il quadrato che raffigurava una casa egizia poteva stare per il suono /b/ in semitico, dove la casa si chiamava baytu, e perché i greci ne hanno fatto la beta e i romani la b. Scrivo perché la mente umana ha la singolare capacità di vedere la metafora non solo nel mondo ma anche nel cielo, di vedere nelle stelle null’altro che il nostro riflesso, un sacro racconto in cui gli immortali protagonisti siamo noi.
I write because – by miracle, by destiny – my ancestors didn’t become extinct during the various volcanic eruptions and ice ages but started planting grain instead, giving up their nomadic lives and giving free reign to cavities. Because they domesticated dogs and goats, discovered metals and built villages that grew more and more square and vast and gave rise to craft and commercial trade whose accounts were etched into clay with a reed. I write because from reeds they made papyrus and from charcoal ink and felt a democratic and multi-ethnic urge to communicate with people of different mother tongues by the use of an alphabet. Because my forbearers had the genius insight that a drawn square representing an Egyptian house could stand for the /b/ sound in Semitic, which called a house baytu, and because the Greeks made it into their beta and the Romans into our b. I write because the human mind has the unique ability to see metaphor not only in the world but also in the heavens, to see the stars as nothing but our own reflection, a sacred story where the immortal main characters are us.